Titolo: L’anatema dei sette peccati Autore:
Davide Fresi
Editore:
Youcanprint
Genere:
storico-fantasy
Numero
di pagine: 228
Data
di uscita: 3 aprile 2017
Prezzi:
ebook 1,99 euro, cartaceo 13,90
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TRAMA
La narrazione è ambientata nell’antica Roma e
vede protagonisti due mercanti, Fedro e Polibio. In virtù dei carismi profetici
che mostrano di possedere, essi vengono introdotti da Tiberio Cesare nel fasto
della corte romana. Tuttavia, l’avidità di Fedro minaccia l’incolumità di
entrambi. Il prefetto del pretorio Marcello tende un tranello che compromette
la loro posizione. In carcere essi conoscono un uomo che con i suoi lumi porta
Fedro a cambiar vita. Presto irrompono nella vita dei protagonisti Gesù di
Nazareth e altri personaggi storici dal grande carisma. Le disavventure si
susseguono una dopo l’altra. Aleggia sullo sfondo degli eventi la ferocia dei
governanti romani che non esitano a spargere il sangue di innocenti. Ogni volta
che le aspettative paiono compromesse, la Provvidenza mostra il suo volto
benevolo, dissolvendo la nebbia che rende incerto il cammino dei due mercanti.
Finché non avviene l’irreparabile… Troverà realizzazione l’anatema che il
Nazareno rivolge agli oppressori del popolo? Riuscirà il perfido Marcello a
soddisfare la sua morbosa ambizione? Questi sono alcuni temi di una narrazione
che appassiona sin dalle primissime pagine.
INCIPIT
Capitolo I
Tutto ebbe inizio una mattina
dell’anno 335 a.C., sotto il cielo terso dell’Attica, ad appena qualche
chilometro dalla celebrata città di Atene.
Polibio e il suo socio in
affari Fedro erano in viaggio con il loro seguito di carri, colmi di merce
pregiata, e di schiavi. Stavano per concludere delle importanti vendite. Essi,
dopo aver affrontato una lunga traversata, poche ore prima erano finalmente
sbarcati nel porto del Pireo. Ormai li circondava una fitta vegetazione.
Durante un momento di tregua
dalla sollecita marcia, i due mercanti si isolarono dalla comitiva discutendo
animatamente di una gravosa questione. Per preservare il riserbo delle
confidenze, si scostarono dal gruppo dei fidati schiavi quel tanto sufficiente
a sottrarsi dalla loro attenzione.
Il fermento
era dovuto al presunto furto di un monile di cui alcuni servitori accusavano
Maysun, un loro giovane compagno. Da tempo erano sorti dei dissapori perché
questi aveva coraggiosamente denunciato le abituali prepotenze esercitate dagli
schiavi più anziani.
La sensibilità che
caratterizzava Polibio gli imponeva di acclarare per bene i fatti. Egli sapeva
perfettamente fino a quali estremi potesse giungere l’acredine dei prepotenti.
Aveva constatato come simili individui fossero soliti attribuirsi dei diritti
usurpati senza alcun ritegno. Ingiustizie di tal fatta erano inconciliabili con
i princìpi che animavano la sua coscienza.
- Ti ripeto che non intendo
negare a Maysun il diritto di difendersi dall’accusa che gli è stata rivolta.
Potrebbe trattarsi di una calunnia, - sostenne Polibio, scontrandosi con la
rozza superficialità del partner. La stessa con cui spesso aveva dovuto fare i
conti.
- Già . Ma non è la prima
volta che lo sorprendiamo a rubare. Dobbiamo punirlo come merita. Gli farò
infliggere trenta frustate. Penso che possano bastare. Vedrai che in futuro si
asterrà dal compiere simili misfatti, - ribatté Fedro, soffocando il buon senso
che gli gridava dentro.
- In realtà ho l’impressione
che il presunto furto sia una messinscena. Sospetto che i suoi accusatori
vogliano vendicare dei torti subiti. È necessario sentire le parti in causa per
chiarire i fatti. Mi rifiuto di mortificare un uomo senza prima dare luogo a un
giusto processo, - insistette Polibio con una fermezza che si conciliava con il
suo abituale modo di agire.
- Come sempre vuoi negare
l’evidenza. È chiaro che è colpevole, - non si piegò Fedro.
- Alla luce di quali elementi
puoi affermare ciò? Tu al suo posto, prima di ricevere delle vergate sulla
schiena, vorresti essere ascoltato, - lo incalzò Polibio, attingendo a tutta la
sua saggezza.
D’un tratto un famelico
gatto, insidiando un topo, si lanciò dalla cima di un albero verso un
cespuglio.
Il tonfo che ne seguì
interruppe per sempre il discorso intrapreso.
Esso rimase sospeso nel vuoto
di quella giornata che era destinata a ridisegnare la loro esistenza. Di ciò
essi ne furono consapevoli non appena si voltarono.
La loro attenzione fu
catturata da una massiccia struttura in metallo che si poteva scorgere tra una
massa di fogliame secco e legno rattrappito.
Di fronte a questa scoperta
rimasero di stucco.
Essa esulava da tutto ciò che
aveva sempre fatto parte del loro mondo. Dall’interno del misterioso congegno
filtrava, attraverso una sorta di stretto sportello semiaperto, un fascio di
luce sconosciuto. I due mercanti non ne avevano mai visto uno simile in tutta
la loro esistenza, neanche nei più reconditi sogni. All’istante dimenticarono
persino dove si trovassero. E con le mani che tremavano per l’emozione,
s’impegnarono a liberare l’ingresso dal fogliame e dai rami. Esplose dentro di
loro il violento impulso di scoprire in cosa si fossero imbattuti.
Quindi con ogni precauzione
spalancarono lo sportello.
Entrati intrepidamente dentro
l’oscuro dispositivo, ebbero la sensazione che in quell’angolo di terra il
tempo si fosse come fermato. Non riuscivano a venir fuori dallo stupore che li
annebbiava. Che quanto avevano ritrovato abbandonato nel mezzo della campagna
fosse una diavoleria prodotta dagli spiriti del male? Si diceva che, quando
dominavano le tenebre, simili entità fossero solite flagellare quelle
sciagurate terre. E cosa significavano poi quei numeri che essi leggevano sopra
un pannello animato da una arcana luce? Che sancissero la fine della loro
esistenza?
Fedro, come suo solito, non
rimase a lungo inerte. E cominciò ad azionare senza criterio le strane
manovelle che campeggiavano su una parete. Così egli cercava di attenuare
l’inquietudine che scaturiva dall’assoluta incapacità di trovare una risposta a
innumerevoli domande. Polibio da parte sua percepì il pericolo che una simile
iniziativa rappresentava. E senza giri di parole lo redarguì:
- Fermati! Vuoi forse
attirare il castigo degli dèi con la tua noncuranza?
- Voglio solo capire cosa la
sorte ci ha fatto trovare in questo sentiero sperduto…
Polibio sapeva che quello era
l’irresistibile desiderio di entrambi. Ma occorreva essere prudenti. Mentre
Fedro persisteva ostinatamente a sfidare la sorte, insinuando le mani laddove
non avrebbe dovuto, il compagno fu folgorato da quanto rinvenne alle sue
spalle.
Si trovò davanti centinaia di
indefinibili oggetti che non aveva mai visto prima, neanche nelle più
fantasiose immaginazioni. Si trattava di una serie di ordinate pile di arnesi
che a uno sguardo attento, per via delle scritte che recavano impresse,
potevano essere identificati come dei manoscritti. Per un momento egli vacillò
davanti a quella sequenza infinita di scritte in latino che peraltro riusciva a
decifrare, essendo originario di Roma; aveva ancora nitidi i ricordi della sua
giovinezza trascorsa proprio fra i sette colli della città eterna, prima di
dedicarsi al commercio in giro per il mondo.
Per lunghi secondi ignorò
perfino chi egli fosse.
Non riusciva a leggere nella
realtà che gli era franata addosso. Poco dopo invitò il socio a voltarsi per
renderlo partecipe della straordinaria scoperta, avvenuta all’interno di
qualcosa che era, se possibile, ancor più misterioso.
- Cosa… - le parole si
spezzarono sulle labbra di Fedro. I suoi occhi rimasero spalancati. E il
respiro gli divenne incerto.
Avvinti dalla superstizione
che li animava, cominciarono a pensare di essere vittime di un diabolico
sortilegio. Proprio quando si apprestavano a fuggire da ciò che essi per
istinto riconobbero essere la porta d’accesso all’Ade, l’ingresso della macchina
infernale si chiuse automaticamente. Quindi qualcosa si azionò facendo
sperimentare ai due uomini il peggiore dei loro incubi.
Si produssero oscillamenti e
potenti vibrazioni. Risuonarono sordi boati e vibranti echi. Si alternarono
rapidamente un calore intenso e un freddo pungente. Finché infine tutto cessò,
lasciando nondimeno senza fiato gli sventurati.
Essi si guardarono in faccia
convinti che il congegno li avesse proiettati nell’oscurità infernale, alle cui
porte avrebbero incontrato il mostruoso cane Cerbero e Minosse, Eaco e
Radamanto avrebbero giudicato la loro condotta terrena.
Dunque, nello spazio di una
manciata di secondi ogni cosa si era quietata fra quelle metalliche pareti che
essi, solo un attimo prima, pensarono fossero prossime a comprimerli in una
funerea morsa. Con un pur labile senso di sollievo ricominciarono a percepire
il proprio ansimante respiro. Il loro cuore batteva più che mai vorticoso nel
petto, parendo sul punto di esplodere e schizzare ovunque tutto il purpureo
sangue che fra le sue pieghe scorreva. A quel punto entrambi chiusero gli occhi
come se, così facendo, potessero fermare il corso dell’indefinibile giornata
che stavano vivendo. Ancora quell’esperienza inquietante non aveva espresso la
sua sentenza.
Polibio richiamò l’attenzione
del compagno sulla luminosa scritta che risaltava poco al di sopra delle
manovelle. Essa di colpo si era come aggiornata:
- 335 avanti Cristo, - lesse
con un filo di voce, guardando alla sua sinistra, e poi continuò seguendo con
gli occhi l’enigmatica didascalia: - 27 Anno Domini… Cosa mai può significare
tutto ciò?
- A mio avviso sto per
sperimentare la collera degli dèi per tutte le frodi che ho praticato a scapito
di miserabili che meritavano tutt’altro, - azzardò Fedro, assaporando già il
gusto amaro che accompagna il castigo delle proprie colpe.
- C’è solo un modo per
scoprirlo. Si tratta di andare incontro al nostro destino uscendo fuori da
questo congegno infernale… - e, mentre diceva ciò, Polibio, esitando, allungò
la sua incerta mano verso la manopola dello sportello. O essa avrebbe
restituito loro la libertà o, con un riverbero orribile, li avrebbe consegnati
a eterni supplizi.
Gli sventurati si chiedevano
quale spettacolo terrificante li avrebbe travolti oltrepassando quella labile soglia
che ancora li proteggeva dal repentino materializzarsi dei loro più inquietanti
incubi. Forse che li attendeva ansioso di punirli Plutone, il temuto dio dei
Mondi sotterranei, il quale ne avrebbe sancito la condanna a mille anni di
atroci sofferenze fra fiamme ustionanti, lacerazioni fisiche, visioni orribili,
miasmi soffocanti e una disperazione senza tregua? Certamente questa era la
credenza divulgata dall’insigne Platone in relazione ai più indegni fra gli
uomini, prima che ne avvenisse la reincarnazione in un nuovo involucro
corporale e traesse così origine un altro ciclo vitale. Quale maledizione era
dunque piombata su di loro proprio quel giorno, che prima dell’ora fatidica,
pareva scivolare quieto e docile come tanti altri?
L’indugio non poteva protrarsi
oltre.
Polibio afferrò la strana
manopola e in qualche modo riuscì a produrre uno scatto. A seguito di ciò lo
sportello lievemente si aprì. Un timido bagliore di sole si fece spazio fra
quelle anguste pareti. Eppure, in effetti, non pareva che delle creature
orribili li stessero realmente aspettando all’esterno, assetate di sangue e
pronte a fare scempio di loro. Che quel raggio di luce piuttosto fosse un
assaggio della pace che accarezza senza fine le anime dei giusti negli
sconfinati Campi Elisi? Davvero non sapevano più cosa pensare.
- Pare che il sole splenda
più che mai… - disse Fedro appena uscì all’esterno insieme al compagno. Quelle
prime sensazioni quietarono un poco la loro dirompente angoscia.
In apparenza il paesaggio
naturale non era cambiato da come lo avevano lasciato poc’anzi. Ovunque
svettavano imponenti querce, cipressi e pini carichi di frutto. I ginepri
continuavano a spandere intorno a sé un intenso profumo. Più in basso, fra i
folti cespugli, il movimento prodotto da piccoli animali alla frenetica ricerca
di cibo testimoniava il persistere delle dinamiche della vita. Nel cielo i
volatili tracciavano senza sosta le loro parabole, alla ricerca di insetti con
cui poter nutrire i propri piccoli che, affamati, pazientavano tutto il tempo
nei nidi. La natura dominava incontrastata. Fra quei rigogliosi alberi la
realtà umana, con tutte le sue contraddizioni, non faceva sentire il suo fiato.
- Non riesco a capire… -
sentenziò Polibio. - Quale diabolico scherzo ci ha riservato il destino?
- Non ci resta altro da fare
che ritornare senza indugio presso la carovana e provare a dimenticare questa
singolare esperienza. Qualsiasi significato essa racchiuda. La seppelliremo nei
nostri ricordi, - ragionò Fedro.
Eppure,
raggiunto il sentiero a pochi metri di distanza, essi non ritrovarono alcuna
traccia del nutrito convoglio, composto da decine di carri carichi di ogni
genere di mercanzia, che con la sua imponente mole era diretto verso Atene. Per
lunghi minuti, dimenandosi, perlustrarono la strada sterrata oltre ogni
svincolo e ogni barriera visiva costituita da grossi alberi o dalla fitta
vegetazione.
Tuttavia, niente.
A quel punto si guardarono in
faccia a bocca aperta, chiedendosi come potesse d’un tratto essersi
volatilizzato ciò che, secondo ragionevolezza, avrebbe dovuto occupare
ampiamente quel remoto sentiero.
Dunque, era veramente
successo qualcosa d’imponderabile.
In quegli istanti davanti a
loro una leggera brezza increspò i rami frondosi di alti sicomori. Essi parvero
assumere le sembianze di inquietanti creature intente impietosamente a
sorridere della devastante paura che li pervadeva. Ogni cosa pareva prendersi
gioco di loro.
- Vedo in tutto ciò la
potente mano di Giove, governatore del cielo e della terra, - osservò, senza
riuscire a fermarsi un attimo, Polibio.
- Ma che senso può avere
quanto stiamo vivendo? - Non si dava pace Fedro.
- Io penso che la risposta
alla tua domanda la possiamo trovare solo tornando laddove quest’oggi ha avuto
origine ogni nostra sventura.
- Non so se sia una buona
idea.
- Qualora pure ci attenda un
amaro destino, preferisco affrontarlo da uomo come avrebbero fatto i nostri
nobili antenati, piuttosto che nascondermi in un cantuccio o scappare vilmente
al pari di un ignobile coniglio, - affermò con uno scatto d’orgoglio Polibio.
- Non posso certo essere da
meno…
Non impiegarono molto a
individuare nuovamente fra la vegetazione l’imponente congegno. Si ergeva
ancora minaccioso e inquietante. Quando ormai erano sul punto d’introdursi al
suo interno, dalle nubi appena addensatesi nel cielo saettò un potente fulmine
che andò a infrangersi, squarciandolo, su di un alto olmo proprio a due passi
da loro. La mente intrisa di superstizione degli sventurati giudicò questo come
un ulteriore presagio infausto circa la bontà dell’iniziativa che avevano
assunto. Ma ormai non potevano sottrarsi a qualcosa che stimavano ineludibile.
Una volta dentro, Polibio
localizzò immediatamente su una sporgenza metallica alla sua destra dei rotoli
di papiro. Stranamente né lui né il suo compagno durante la prima visita li
avevano notati. Pareva senz’altro che qualcuno li avesse lasciati in bella
vista deliberatamente. Preso fra le mani il più vicino fra quelli lì deposti,
il mercante romano lo srotolò con cura. Quindi, reprimendo a stento l’ansia, si
approssimò all’intensa luce che filtrava attraverso lo sportello da cui erano
entrati.
- È vergato in latino, -
riferì subito all’amico.
- Coraggio, leggi quanto vi è
riportato.
- “Sicuramente, chiunque voi siate, vi starete domandando con un
incontenibile timore che cosa un arcano destino vi ha fatto rinvenire in questo
sperduto bosco dell’Attica. Ebbene, ora io risponderò a tutte le prepotenti e
legittime domande che inevitabilmente germogliano nei vostri cuori ogni istante
che passa. Dovete sapere che il dispositivo che avete trovato è il prodotto di
ferventi studi e ricerche le quali, attraverso vie ai più imperscrutabili,
hanno infine portato l’uomo a decodificare ogni singolo aspetto del mondo
naturale e delle sottili leggi che lo regolano. L’intelletto umano, come un
fiume in piena, si è spinto talmente avanti nel suo desiderio di onnipotenza da
voler esercitare il proprio dominio anche su ciò che da sempre è sfuggito al
suo controllo, ovverosia il tempo.
Non avete capito male. Vi trovate effettivamente in una sorta di
cavallo di Troia che rende possibile il viaggio temporale. Conoscendo la rozza
cultura propria della vostra civiltà , temo a questo punto che il turbinare
degli eventi vi porti a sentirvi vittima dello spietato tiro di una qualche
divinità . Senza indugio vi invito a respingere ogni fluttuante pensiero di tale
natura. L’evidenza di quanto avete davanti agli occhi vi deve convincere
dell’inattaccabile ragionevolezza della lettura degli avvenimenti che, per puro
e disinteressato compatimento della vostra sorte, desidero fornirvi. L’umanitÃ
che mi è propria mi sprona a mettervi in guardia dai pericoli contro cui
potreste miseramente infrangervi, essendo voi alla mercé di un amaro destino
che vi ha condotto laddove ogni speranza umana è facile a svanire nel nulla.
Vi esorto a vigilare affinché ciò in cui vi siete imbattuti non vi
si rivolti contro e finisca con l’annientarvi. Io stesso e il mio compagno, al
principio della nostra avventura, ci troviamo in una situazione analoga per
incertezza a quella in cui voi vi dibattete. Non voglio approfondire ora simili
discorsi, né rivelare per quali vie abbiamo intenzione di dirigere i nostri
passi su queste terre. Sarebbe qualcosa d’inappropriato alla circostanza… Mi
auguro che la sorte mostri il suo volto più benevolo a tutti noi.
Per comprovare l’affidabilità della presente testimonianza, vi
invito a consultare i manoscritti che immagino abbiano già catturato la vostra
sconcertata attenzione. Essi riassumono e analizzano a fondo la storia delle
più straordinarie civiltà che si sono sviluppate o si svilupperanno a partire
dalla vostra epoca fino al XXI secolo. Proprio così. Fra quelle pagine è
accessibile a voi il discernimento degli effettivi impulsi che ispireranno le
gesta di illustri re e imperatori. Ora che siete sul punto di divenire
partecipi di un simile tripudio di conoscenza, sforzatevi di farne un buon uso.
I manoscritti in questione rappresentano una preziosa chiave capace di
dischiudere il più inestimabile dei tesori, cioè il cuore dell’uomo.
Prima di lasciarvi al vostro destino, vi esorto a non dimenticare
queste mie ultime parole: ciascun uomo è più forte dell’universale fatalità .”
Conclusa la lettura, il
silenzio più assoluto fagocitò ogni cosa. I due si guardarono per interminabili
secondi negli occhi senza riuscire a proferire alcuna parola. Mai avrebbero
pensato di vivere un’esperienza come quella. Essa non avrebbe trovato spazio
neanche fra i peggiori auguri da rivolgere ai loro nemici, per quanto a Fedro
non mancassero di certo.
Dopo un poco si dissipò
l’intensa nebbia che quel susseguirsi d’inconcepibili avvenimenti aveva
generato. La realtà cominciò a divenire più nitida nei suoi contorni. Polibio
allora, osservando la luminosa scritta che continuava a risaltare davanti a
loro carica di mistero, azzardò con un sottile intuito:
- Sono convinto che questa
didascalia rappresenti la soluzione di ogni enigma. Cosa può significare?
- 335 avanti Cristo e 27 Anno
Domini. Mah… chi potrebbe essere il Dominus a cui si allude? - s’interrogò
Fedro inarcando le sopracciglia.
- Forse qualche esimio
sovrano o un grande benefattore. E quei numeri potrebbero indicare un periodo
di tempo precedente e successivo a qualche avvenimento che a lui si riferisce,
- ragionò Polibio.
- Già , ma quale?
- Magari la sua morte o la
sua nascita…
- Costui dovrebbe essere un
personaggio veramente eccelso se, per qualcosa che a lui attiene, è stato
assunto come punto di riferimento addirittura per un arco di tempo di alcuni
secoli.
- Ma proviamo un attimo a ragionare…
Se quel rotolo di papiro è attendibile, e ciò lo scopriremo presto, significa
che ci troviamo all’interno di un fantastico dispositivo che in qualche maniera
consente il viaggio temporale, - cominciò a riflettere Polibio. - Pertanto,
deduco che quei numeri indichino semplicemente due differenti periodi storici,
qualunque essi siano. Il primo, 335 avanti Cristo, dovrebbe essere l’anno in
cui vivevamo prima che ci travolgesse un incubo ogni istante più sconvolgente.
Mentre 27 Anno Domini suppongo sia l’anno in cui ci ha disgraziatamente
catapultato questa lugubre macchina.
- Brillante ricostruzione. Ma
è solo una possibilità , per quanto verosimile, - smorzò l’entusiasmo Fedro.
- Ritornando al contenuto del
papiro, ritengo ora necessario studiare a fondo i singolari manoscritti che
colmano questa parete. Un lungo lavoro ci attende… - sostenne Polibio
volgendosi verso la catasta di libri alle sue spalle.
- Bene, vediamo un po’… Historiae Romanae di Caio Velleio
Patercolo, Annales di Cornelio
Tacito, Historiae Romanae di Cassio
Dione, Historiae Romanae di Tito
Livio, Vitae Caesarum di Gaio
Svetonio Tranquillo. Beh, non conosco assolutamente questi autori e le loro
opere. Forse a te risultano familiari? - chiese Fedro.
- Mai sentiti nominare.
Comunque i testi che hai nominato paiono attenere tutti alla storia della mia
patria. A questo punto è probabile che fra quelle pagine sia proprio riassunta
la storia di essa nei secoli a venire.
Appena Polibio finì di
pronunciare queste parole, all’esterno un soffio di vento impetuoso smosse con
forza le cime degli alberi richiamando l’attenzione degli sventurati verso la
boscaglia. Le tenebre stavano cominciando ad abbracciare ogni cosa. Le indagini
dovevano essere rimandate al giorno dopo.
Dopo aver rapidamente nascosto
il congegno per mezzo del fogliame disponibile, andarono in cerca di un rifugio
per la notte. Seguirono un sentiero finché non individuarono un capanno
abbandonato. Entrati al suo interno, essendo soddisfatti della sistemazione, si
disposero a trascorrere lì la nottata. Essa non sarebbe stata certo beata, ma
lunga e insonne. Il peso che i due portavano dentro era arduo da sostenere.
- Continuo a pensare che
tutto per noi sarebbe più chiaro, qualora riuscissimo a capire a chi si
riferisce il termine Dominus, - sostenne Polibio.
- Giusto. Come sempre ti
riveli il più sagace fra noi. Forse così sapremmo anche in quale epoca storica
ci troviamo…
- Per apprendere ciò sarÃ
sufficiente, penso, raggiungere Atene e fare un’indagine.
Quella notte i due uomini d’affari si chiesero da quale scherzo del
destino fossero stati raggiunti. Quale sviluppo avrebbe assunto la loro
esistenza alla luce degli ultimi avvenimenti? Era reale quanto essi avevano
appena vissuto o forse si trattava di un incubo pregno di parvenze di verità ,
dal quale faticavano a risvegliarsi? In particolare Fedro si domandava se tutto
ciò non fosse una sinistra macchinazione degli dèi.
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